Coronavirus, i giorni che hanno cambiato l’Italia
L'Italia, i mesi di chiusura, la lenta e incerta transizione verso una nuova normalità.
Testo, foto e video: Damiano Fedeli

For a few days, the civil protection car that daily invites everyone to stay at home with its loudspeakers has not passed on the streets of Fiesole, on the hills above Florence. The concept is now clear and here in Tuscany, as in the rest of Italy, everyone is living with a mixture of anxiety and hope for the so-called “phase 2”.

Fase 2

That is, the period of slow transition towards the new normality imposed by the coronavirus. A phase that started on May 4th and that are bringing a series of staggered reopenings: first, manufacturing companies (starting with those mainly focused on export), construction sites, wholesale trade.

Lenta transizione

Poi, dal 18 maggio i negozi, le mostre e i musei. I luoghi e le professioni più a rischio per i contatti ravvicinati potranno riaprire solo all’inizio di giugno: bar, ristoranti, parrucchieri. Ovunque, naturalmente, le misure di distanziamento saranno stringenti e rigide: almeno un metro dalle altre persone, mascherine (anche quando si vanno a trovare i parenti, possibilità che fino a oggi era vietata). Per i negozi gel igienizzante, percorsi di entrata e di uscita, entrate scaglionate (uno per volta in quelli fino a 40 metri quadrati).
Il tutto per far sì che la curva dei contagi non risalga e stando pronti a chiudere di nuovo “in modo tempestivo laddove la curva dovesse diventare critica. Abbiamo predisposto un meccanismo per consentirci di intervenire”,  ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in una conferenza stampa. Ancora per qualche settimana, per spostarsi serve un’autocertificazione, un documento da presentare alla forze dell’ordine in caso di controlli per dimostrare che lo spostamento – possibile dal 4 maggio solo entro la stessa regione, fino ad allora solo nello stesso comune – sia giustificato da uno dei seguenti motivi: lavoro, salute e, appunto, con la fase 2, visita ai parenti. Le mascherine, sulla cui efficacia all’inizio del contagio si è a lungo dibattuto in Italia, saranno per lo più obbligatorie. Alcune regioni, come Lombardia e Toscana ne hanno già obbligato l’utilizzo ogni volta che si esce. La Toscana ne ha acquistate per tutti i suoi cittadini, distribuendole di casa in casa grazie alle associazioni di volontariato. Altre ne farà avere gratuitamente nelle farmacie, presentando la tessera sanitaria.

Il percorso all'indietro

L’Italia, insomma, si avvia lentamente a compiere a ritroso il percorso che l’ha portata alla chiusura totale. Prima (l’8 marzo) solo di Lombardia e di alcune province fra Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Marche.

#iorestoacasa

Poi, dal 9 marzo – con il provvedimento #iorestoacasa – tutta Italia. Decreto inasprito ulteriormente due giorni dopo, con la chiusura dei negozi

L'escalation dei provvedimenti

On March 22nd, people were finally prohibited leaving their municipality of residence. An escalation due to the relentless advance of the contagion that, at the beginning of May, has infected more than 200 thousand people in Italy, killing 30 thousand, with some areas, such as Lombardy, affected in a particularly violent way. Caravans of military trucks that took coffins from Bergamo bringing to the crematoria in the rest of Italy made an impression all over the world.

Ora, piano piano si torna indietro. Non alla situazione precedente, naturalmente: per esempio una grande incognita rimane quella dell’apertura delle frontiere e del ritorno dei turisti dall’estero. Una voce, quella del turismo, che contribuisce al 13% del pil nazionale. L’anno scorso sono venuti in Italia 94 milioni di stranieri, fra città d’arte e località balneari. L’estate ormai alle porte è considerata persa. Al massimo ci sarà un po’ di turismo interno. Di certo salteranno concerti, festival, manifestazioni all’aperto. Di certo i 56 giorni di lockdown cambieranno per sempre l’Italia. “Siamo stati la generazione più fortunata della storia dell’umanità”, ha scritto sul Corriere della Sera lo scrittore Antonio Scurati riferendosi alla generazione di cinquantenni che non hanno conosciuto fame o guerra. Adesso “siamo in coda per il pane”.
Di certo è balzata agli occhi di tutti l’importanza di certi lavoratori che, improvvisamente, si sono trovati a subire una pressione enorme. Come nel caso dei supermercati. “All’inizio non ce l’aspettavamo, ma improvvisamente ci siamo trovati, diciamo, in seconda linea, dopo medici e sanitari”, racconta Marco Pietrini, direttore del piccolo supermercato Coop di Fiesole. Anche ai supermercati si entra in fila, scaglionati, a distanza. “A noi italiani, che siamo anche molto comunicativi, queste restrizioni hanno cambiato il modo di stare insieme”, sottolinea. Sui lavoratori dei supermarket, fra prodotti presi d’assalto – come i disinfettanti o come i lieviti e le farine per fare pasta, pizza e dolci a casa –  e clienti da contingentare, il lavoro è aumentato di intensità.
I centri storici delle città sono rimasti deserti, con i loro monumenti iconici. Anche le chiese sono restate vuote, anche nei giorni delle feste pasquali. Hanno fatto il giro del mondo le immagini del Papa in una piazza San Pietro deserta a Roma. Adesso i vescovi protestano perché nella fase 2 non sono stati fissati tempi certi per messe e funzioni religiose. I funerali saranno possibili solo da maggio: i familiari dei tanti che se ne sono andati non hanno avuto nemmeno il conforto di un ultimo saluto ai propri cari. È cambiata anche la vita dei sacerdoti. Don Roberto Pagliazzi, che a Fiesole è parroco, pur digiuno di tecnologie, si è fatto aiutare e adesso ha aperto un canale youtube dove ogni giorno celebra messa.

Un asse in Europa

Come ferita aperta rimaranno gli incredibili danni economici che la crisi del coronavirus lascerà in eredità. Il Governo ha varato a marzo una serie di manovre di sostegno – fra cui cassa integrazione e sostegno straordinario per i lavoratori autonomi. Così come ha previsto credito garantito dallo Stato per le imprese. Il dibattito politico interno è stato segnato dalle critiche delle forze populiste, come Lega Nord e la destra di Fratelli d’Italia, impuntate in un no al MES, il fondo salva stati dell’Unione Europea. Il Governo, con la sua maggioranza di Cinque Stelle e Partito Democratico, ha trovato in Europa un asse con Francia, Spagna e Irlanda, contrapponendosi a Paesi come Olanda e, in misura minore Germania, non favorevoli a mutualizzare con i “corona bond” i debiti da sostenere per la ripresa. Dopo le scuse della presidente della Commissione Ursula von der Leyen per la “mancanza di solidarietà all’Italia” del 3 aprile, il Consiglio Europeo è arrivato a definire un recovery fund da 1500 miliardi. Ora la palla passa alla Commissione. Di certo c’è che anche il ceto medio comincia a dare segni di sofferenza. E scatta la solidarietà. In Italia, ad esempio, sono spuntate in molte città e paesi delle “ceste della solidarietà”. Chi può, è invitato a lasciarci dentro prodotti alimentari, come pasta o lattine di tonno o pomodori. Chi ha bisogno, può prenderli. Poi ci sono le associazioni di volontariato che si occupano di banco alimentare e che si trovano davanti non più le solite famiglie di prima, ma una platea allargata di nuovi poveri.
Dice Alessandro Gori, della Misericordia di Compiobbi, nei pressi di Firenze: “Seguivamo fino a ora un numero ristretto di persone, ma adesso sono aumentate. Proseguiremo l’attività che abbiamo fatto anni indietro, ma potenziata perché dobbiamo rispondere a un numero maggiore di famiglie”. “Prima avevamo un numero stabile di persone che seguivamo. Adesso se ne sono aggiunte una serie che, per questioni di lavoro perso o di cassa integrazione, si trovano in difficoltà a casa”, aggiunge Fabrizio Ulivieri, presidente della Fratellanza Popolare di Caldine, sempre nel fiorentino.
“Abbiamo allargato le maglie che usavamo per consegnare la merce. Chiediamo alle persone in difficoltà di contattarci sui nostri social in modo anonimo. Molte di queste famiglie non erano abituate a rivolgersi ai servizi sociali e possono essere in imbarazzo”.
Lo slogan che l’Italia si è data, scrivendolo sotto un arcobaleno in decine di striscioni appesi sui balconi di tutto il Paese è “Andrà tutto bene”. Una bambina sarda è stata forse più realista. Accanto al suo arcobaleno ha scritto: “Non credo che andrà tutto bene, l’ho scritto solo perché lo volevano le mie maestre e i miei genitori”.
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Fiesole (Fi), Emergenza coronavirus - Vita quotidiana al tempo del coronavirus